Franco Prattico

La vera regina degli enigmi
non si discute, è madre Natura

Da sempre l'homo sapiens cerca di cifrare i messaggi di cui non vuole divulgare il contenuto. Troverà mai un codice perfetto e inviolabile? Forse soltanto quando sarà diventato capace di comprendere i segnali che intercorrono tra le molecole biologicamente attive, amminoacidi e proteine: cioè il "linguaggio" usato dal Dna per procedere alla fabbricazione di un essere vivente.

1.
E' un processo antichissimo. In pratica l'altra faccia della comunicazione, della trasmissione di informazioni a un partner, un processo che ha accompagnato ogni sviluppo della vicenda dell'homo sapiens: cioè come mantenere il segreto, rendere inaccessibile a terzi le informazioni che si stanno trasmettendo a un partner privilegiato, a condizione che questi sia in possesso degli strumenti utili a decodificare il messaggio. Probabilmente una vicenda che ha avuto inizio alcune decine di migliaia di anni or sono: quando al comune linguaggio della non ancora frantumata tribù degli homo sapiens (linguaggio prodotto dalla rivoluzionaria scoperta che la trasmissione di informazioni poteva avvenire efficacemente modulando suoni onomatopeici comprensibili da tutti, e che questi potevano rappresentare il mondo e gli eventi nel loro divenire) cominciarono a sovrapporsi idiomi particolari, di gruppo se non di clan o di famiglia: fu l'inizio di Babele.
E Babele significava che i diversi gruppi umani cominciavano ad avere non solo linguaggi diversi, ma anche interessi competitivi, o addirittura contrastanti, e che certe informazioni era preferibile tenersele per sé, anche se dovevano venire comunicate ad altri membri del proprio gruppo, e bisognava evitare di renderle note, accessibili a qualche "straniero". Ad esempio, informare i propri compagni su dove pascolava la mandria più ricca e pacifica di mammut o dove era sita la cava di ossidiana più promettente. Se non addirittura una "chiamata alle armi": «Quando è luna piena, fornitevi dei vostri randelli e andiamo tutti a cacciare dalla nostra prateria quegli intrusi che si sono accampati attorno al ruscello». Bisognava evitare che questa decisione venisse captata dagli avversari, perché non prevenissero l'attacco. Non a caso il problema di rendere inaccessibili le informazioni che è necessario trasmettere ai propri sodali ha accompagnato fin dagli inizi quello sport squisitamente umano che è la guerra, e il duello tra costruttori di codici che rendano non intelligibili le informazioni trasmesse e decrittatori che siano capaci di volgerle in chiaro ha accompagnato drammaticamente ogni conflitto.

Una storia vecchia, quindi, quanto l'uomo: e se in principio era sufficiente usare la propria lingua - se questa non era intesa dall'avversario - molto presto si è reso necessario inventare sistemi di trasmissione e di cifratura che conservassero il senso dell'informazione trasmessa e la rendessero impenetrabile a chiunque non fosse in possesso del codice secondo il quale era stato trasformato il messaggio. Come del resto sanno bene i cospiratori e gli amanti, che inventano propri codici segreti per fissarsi appuntamenti e teneri messaggi. O artisti e inventori o anche artigiani detentori di segreti di fabbricazione, che non vogliono rendere pubblici: probabilmente anche la celebre "scrittura allo specchio" di Leonardo da Vinci era un originale sistema di crittografia. Per non parlare dei segnali ottici (ad esempio, le "torri di avvistamento", che disposte lungo le coste del Mediterraneo segnalavano con fuochi disposti ad arte l'avvicinarsi di flotte saracene, la quantità di navi e la loro direzione) o dei segnali di fumo degli indiani delle praterie nordamericane, organizzati secondo un vero e proprio codice.
Secondo Svetonio (nelle Vite dei dodici Cesari) fu proprio Giulio Cesare a inventare un sistema di cifratura - che oggi è appannaggio dei ragazzini, per comunicare "segretamente" tra di loro - che consiste nello spostare di qualche lettera in avanti l'alfabeto, secondo una cifra che è nota al destinatario del messaggio. Ad esempio, fare coincidere la A delle frasi del messaggio "chiaro" con la C, la B con la E e così via. Oppure intercalare a ogni sillaba alcune lettere, rendendo per conseguenza non intelligibile il senso della frase. Ma si trattava di trucchi di cui era possibile avere facilmente ragione.

2.
Singolarmente, proprio nella guerra più tecnologica finora combattuta, il secondo conflitto mondiale, toccò alla nazione più evoluta tecnicamente, gli Stati Uniti, fare ricorso alla più primordiale delle cifrature, cioè a una lingua "vivente" - non inventata - impenetrabile per l'avversario, in questo caso i giapponesi. Il linguaggio adottato fu la lingua di una tribù di pellerossa, i Navajo, fino a poco prima perseguitata e disprezzata dai "bianchi". Racconta Simon Sing1: «Il dialetto navajo è del tutto incomprensibile alle altre tribù e in generale a chiunque non sia navajo... per il nemico questo idioma equivaleva a un codice segreto e si prestava magnificamente a comunicazioni rapide e segrete». Adattando ingegnosamente i modi di dire navajo alle esigenze di una guerra moderna e tecnologica, l'antico dialetto pellerossa divenne in breve l'impenetrabile codice di comunicazione per le forze americane nel Pacifico. Un certo numero di giovani navajo, in grado di parlare bene e velocemente sia il loro dialetto sia l'inglese, vennero arruolati e destinati al fronte con la qualifica di marconisti: ricevevano il messaggio da trasmettere in inglese, lo volgevano rapidamente nella loro lingua e lo trasmettevano. A riceverlo era un altro navajo, che lo rimetteva in chiaro (in inglese, cioè) e lo comunicava al comandante del suo distaccamento. Venne formato con giovani volontari navajo un gruppo specializzato, e tenuto in gran conto, chiamato dei code talkers, cioè dei parlatori in codice, anche se semplicemente parlavano la loro lingua natia.
Certo, né giapponesi né tedeschi potevano intendere una lingua come il navajo, che a differenza delle altre lingue dei nativi americani appartiene alla famiglia linguistica Na-Dene, «priva di legami con qualunque altro idioma asiatico o europeo» (lingue Na-Dene sono presenti in Siberia e tra gli indios sudamericani). A lungo, anche dopo il termine del conflitto, la lingua navajo fu considerata negli Usa "segreto militare" e solo nel 1982 fu consentito di rendere noto il contributo dei Code talkers alla vittoria sul Giappone2.

3.
Ma la sfida più grossa la si giocò impegnando la "regina delle scienze", la matematica. Fin dai tempi più remoti, la costruzione di un codice che risultasse impenetrabile ai tentativi di decifrazione e al tempo stesso lo sforzo di penetrare nei codici usati dagli avversari avevano impegnato matematici e fisici, studiando le frequenze dei segni prescelti, le combinazioni che potevano disorientare gli eventuali decrittatori, le combinazioni aritmetiche che un alfabeto poteva produrre. L'inventore del primo sistema moderno di cifratura fu un italiano, un uomo (non a caso!) del Rinascimento, Leon Battista Alberti: fu lui a proporre in un suo libricino, che invece di sostituire l'alfabeto "chiaro" con un altro alfabeto spostato di qualche lettera - un trucco che come abbiamo visto risaliva addirittura a Giulio Cesare ma che per prove ed errori poteva essere facilmente decifrato - si ricorresse a più alfabeti con un sistema prestabilito di rotazioni; sistema che venne poi perfezionato dal francese de Vigenère, che addirittura proponeva di adottare tante cifrature quante sono le lettere di un alfabeto.

Il capolavoro sulla strada della cifratura "impenetrabile" e quindi dell'assoluta sicurezza nelle comunicazioni in tempo di guerra fu compiuto dai tedeschi, i quali diedero alla luce un meccanismo di cifratura quasi perfetto, che chiamarono Enigma. Inventore di Enigma fu, nel 1918, un ingegnere e piccolo industriale di Hannover, Arthur Scherbius, che con un sistema di rotori e di uno o più scambiatori elettrici, collegati a una tastiera da macchina da scrivere, poteva trasformare qualsiasi messaggio alla stessa velocità con cui questo veniva scritto in chiaro, utilizzando una serie di alfabeti comandati dalle rotazioni del rotore che consentivano alla macchina di "scegliere" oltre 17.000 posizioni (e quindi alfabeti) diverse. Nel corso della seconda guerra mondiale Enigma divenne il rompicapo degli stati maggiori alleati: i loro pur efficienti uffici cifra non riuscivano a venire a capo delle complicate combinazioni matematiche di Enigma. Toccò a uno dei geni matematici del nostro secolo, Alan Turing, giovane britannico allora addetto all'ufficio cifra della Gran Bretagna, e più tardi famoso per l'elaborazione della "macchina di Turing", ossia del modello teorico degli attuali computer, trovare i punti deboli di Enigma e fare così in modo da decifrare i messaggi che il comando tedesco trasmetteva ai sommergibili che incrociavano nell'Atlantico.
E' quindi il crescente valore strategico dell'informazione che spinge i paesi ad adottare sistemi di cifratura sempre più perfetti: mentre gli uffici cifra di tutto il mondo, in un duello senza fine, si sforzano di decifrarli e tradurli in "chiaro". Ma il problema della segretezza delle informazioni non è soltanto militare, investe ormai tutta la società civile: quando - tra breve - ogni informazione su ogni cittadino sarà racchiusa in un minuscolo chip (dai conti in banca ai dati sulla salute, sui vincoli familiari e così via), il problema sarà di come rendere impossibile a chiunque - tranne che alle pubbliche amministrazioni, e solo parzialmente - l'accesso a quel pacchetto di informazioni.

4.
Ma, almeno in linea di principio, può esistere un sistema di crittografia "sicuro", che nessuno possa violare? Ancora una volta è la natura a darci una risposta: molti fisici quantistici ritengono che un sistema di crittografia quantistica, che sfrutti cioè le caratteristiche di indeterminazione degli enti subatomici e la cosiddetta sovrapposizione di stati, possa costituire un sistema praticamente inviolabile3. Sfruttando cioè gli stati di polarizzazione degli spin delle particelle subatomiche, e in particolare dei fotoni, si potrebbero in futuro mandare messaggi che, se anche intercettati, sarebbe impossibile decifrare se non si è a conoscenza degli stati iniziali del sistema e delle chiavi che a una serie di cifre binaria (gli 0 e 1 del computer) sono stati attribuiti sia da colui che invia il messaggio sia dal ricevente.
Del resto, il primo crittografo è proprio Madre Natura. Esiste una sorta di crittografia biologica, che consente il dialogo e lo scambio di informazioni tra cellule, molecole biologicamente attive e proteine, che la biologia molecolare sta oggi attivamente esplorando. Ne ha fatto abbondantemente uso, ad esempio, il nostro Dna, per codificare tutte le informazioni relative alla costruzione di un organismo e trasmetterle al suo decrittatore, la molecola di Rna (acido ribonucleico) che dovrà tradurle in amminoacidi da assemblare per dar vita a una nuova proteina. La vita si fonda quindi non solo sullo scambio di informazioni, ma anche sulla loro codificazione.


Note

1 S. Sing, Codici e segreti, Rizzoli, Milano, 1999, pagg 195 e segg.

2 S. Sing, op cit, pag 204.

3 Vedi gli articoli di O. Brugia e P. Greco, in questo stesso numero di Telèma.