Da sempre l'homo sapiens cerca di cifrare i messaggi di cui non vuole divulgare il contenuto. Troverà mai un codice perfetto e inviolabile? Forse soltanto quando sarà diventato capace di comprendere i segnali che intercorrono tra le molecole biologicamente attive, amminoacidi e proteine: cioè il "linguaggio" usato dal Dna per procedere alla fabbricazione di un essere vivente.
1.
E' un processo antichissimo. In pratica l'altra faccia della
comunicazione, della trasmissione di informazioni a un partner, un processo che
ha accompagnato ogni sviluppo della vicenda dell'homo sapiens: cioè come
mantenere il segreto, rendere inaccessibile a terzi le informazioni che si
stanno trasmettendo a un partner privilegiato, a condizione che questi sia in
possesso degli strumenti utili a decodificare il messaggio. Probabilmente una
vicenda che ha avuto inizio alcune decine di migliaia di anni or sono: quando al
comune linguaggio della non ancora frantumata tribù degli homo sapiens
(linguaggio prodotto dalla rivoluzionaria scoperta che la trasmissione di
informazioni poteva avvenire efficacemente modulando suoni onomatopeici
comprensibili da tutti, e che questi potevano rappresentare il mondo e gli
eventi nel loro divenire) cominciarono a sovrapporsi idiomi particolari, di
gruppo se non di clan o di famiglia: fu l'inizio di Babele.
E Babele
significava che i diversi gruppi umani cominciavano ad avere non solo linguaggi
diversi, ma anche interessi competitivi, o addirittura contrastanti, e che certe
informazioni era preferibile tenersele per sé, anche se dovevano venire
comunicate ad altri membri del proprio gruppo, e bisognava evitare di renderle
note, accessibili a qualche "straniero". Ad esempio, informare i propri compagni
su dove pascolava la mandria più ricca e pacifica di mammut o dove era sita la
cava di ossidiana più promettente. Se non addirittura una "chiamata alle armi":
«Quando è luna piena, fornitevi dei vostri randelli e andiamo tutti a cacciare
dalla nostra prateria quegli intrusi che si sono accampati attorno al ruscello».
Bisognava evitare che questa decisione venisse captata dagli avversari, perché
non prevenissero l'attacco. Non a caso il problema di rendere inaccessibili le
informazioni che è necessario trasmettere ai propri sodali ha accompagnato fin
dagli inizi quello sport squisitamente umano che è la guerra, e il duello tra
costruttori di codici che rendano non intelligibili le informazioni trasmesse e
decrittatori che siano capaci di volgerle in chiaro ha accompagnato
drammaticamente ogni conflitto.
Una storia vecchia, quindi, quanto l'uomo: e se in principio era sufficiente
usare la propria lingua - se questa non era intesa dall'avversario - molto
presto si è reso necessario inventare sistemi di trasmissione e di cifratura che
conservassero il senso dell'informazione trasmessa e la rendessero impenetrabile
a chiunque non fosse in possesso del codice secondo il quale era stato
trasformato il messaggio. Come del resto sanno bene i cospiratori e gli amanti,
che inventano propri codici segreti per fissarsi appuntamenti e teneri messaggi.
O artisti e inventori o anche artigiani detentori di segreti di fabbricazione,
che non vogliono rendere pubblici: probabilmente anche la celebre "scrittura
allo specchio" di Leonardo da Vinci era un originale sistema di crittografia.
Per non parlare dei segnali ottici (ad esempio, le "torri di avvistamento", che
disposte lungo le coste del Mediterraneo segnalavano con fuochi disposti ad arte
l'avvicinarsi di flotte saracene, la quantità di navi e la loro direzione) o dei
segnali di fumo degli indiani delle praterie nordamericane, organizzati secondo
un vero e proprio codice.
Secondo Svetonio (nelle Vite dei dodici
Cesari) fu proprio Giulio Cesare a inventare un sistema di cifratura - che
oggi è appannaggio dei ragazzini, per comunicare "segretamente" tra di loro -
che consiste nello spostare di qualche lettera in avanti l'alfabeto, secondo una
cifra che è nota al destinatario del messaggio. Ad esempio, fare coincidere la A
delle frasi del messaggio "chiaro" con la C, la B con la E e così via. Oppure
intercalare a ogni sillaba alcune lettere, rendendo per conseguenza non
intelligibile il senso della frase. Ma si trattava di trucchi di cui era
possibile avere facilmente ragione.
2.
Singolarmente, proprio nella guerra più tecnologica finora
combattuta, il secondo conflitto mondiale, toccò alla nazione più evoluta
tecnicamente, gli Stati Uniti, fare ricorso alla più primordiale delle
cifrature, cioè a una lingua "vivente" - non inventata - impenetrabile per
l'avversario, in questo caso i giapponesi. Il linguaggio adottato fu la lingua
di una tribù di pellerossa, i Navajo, fino a poco prima perseguitata e
disprezzata dai "bianchi". Racconta Simon Sing1: «Il dialetto
navajo è del tutto incomprensibile alle altre tribù e in generale a chiunque non
sia navajo... per il nemico questo idioma equivaleva a un codice segreto e si
prestava magnificamente a comunicazioni rapide e segrete». Adattando
ingegnosamente i modi di dire navajo alle esigenze di una guerra moderna e
tecnologica, l'antico dialetto pellerossa divenne in breve l'impenetrabile
codice di comunicazione per le forze americane nel Pacifico. Un certo numero di
giovani navajo, in grado di parlare bene e velocemente sia il loro dialetto sia
l'inglese, vennero arruolati e destinati al fronte con la qualifica di
marconisti: ricevevano il messaggio da trasmettere in inglese, lo volgevano
rapidamente nella loro lingua e lo trasmettevano. A riceverlo era un altro
navajo, che lo rimetteva in chiaro (in inglese, cioè) e lo comunicava al
comandante del suo distaccamento. Venne formato con giovani volontari navajo un
gruppo specializzato, e tenuto in gran conto, chiamato dei code talkers,
cioè dei parlatori in codice, anche se semplicemente parlavano la loro lingua
natia.
Certo, né giapponesi né tedeschi potevano intendere una lingua come
il navajo, che a differenza delle altre lingue dei nativi americani appartiene
alla famiglia linguistica Na-Dene, «priva di legami con qualunque altro idioma
asiatico o europeo» (lingue Na-Dene sono presenti in Siberia e tra gli indios
sudamericani). A lungo, anche dopo il termine del conflitto, la lingua navajo fu
considerata negli Usa "segreto militare" e solo nel 1982 fu consentito di
rendere noto il contributo dei Code talkers alla vittoria sul Giappone2.
3.
Ma la sfida più grossa la si giocò impegnando la "regina delle
scienze", la matematica. Fin dai tempi più remoti, la costruzione di un codice
che risultasse impenetrabile ai tentativi di decifrazione e al tempo stesso lo
sforzo di penetrare nei codici usati dagli avversari avevano impegnato
matematici e fisici, studiando le frequenze dei segni prescelti, le combinazioni
che potevano disorientare gli eventuali decrittatori, le combinazioni
aritmetiche che un alfabeto poteva produrre. L'inventore del primo sistema
moderno di cifratura fu un italiano, un uomo (non a caso!) del Rinascimento,
Leon Battista Alberti: fu lui a proporre in un suo libricino, che invece di
sostituire l'alfabeto "chiaro" con un altro alfabeto spostato di qualche lettera
- un trucco che come abbiamo visto risaliva addirittura a Giulio Cesare ma che
per prove ed errori poteva essere facilmente decifrato - si ricorresse a più
alfabeti con un sistema prestabilito di rotazioni; sistema che venne poi
perfezionato dal francese de Vigenère, che addirittura proponeva di adottare
tante cifrature quante sono le lettere di un alfabeto.
Il capolavoro sulla strada della cifratura "impenetrabile" e quindi
dell'assoluta sicurezza nelle comunicazioni in tempo di guerra fu compiuto dai
tedeschi, i quali diedero alla luce un meccanismo di cifratura quasi perfetto,
che chiamarono Enigma. Inventore di Enigma fu, nel 1918, un ingegnere e piccolo
industriale di Hannover, Arthur Scherbius, che con un sistema di rotori e di uno
o più scambiatori elettrici, collegati a una tastiera da macchina da scrivere,
poteva trasformare qualsiasi messaggio alla stessa velocità con cui questo
veniva scritto in chiaro, utilizzando una serie di alfabeti comandati dalle
rotazioni del rotore che consentivano alla macchina di "scegliere" oltre 17.000
posizioni (e quindi alfabeti) diverse. Nel corso della seconda guerra mondiale
Enigma divenne il rompicapo degli stati maggiori alleati: i loro pur efficienti
uffici cifra non riuscivano a venire a capo delle complicate combinazioni
matematiche di Enigma. Toccò a uno dei geni matematici del nostro secolo, Alan
Turing, giovane britannico allora addetto all'ufficio cifra della Gran Bretagna,
e più tardi famoso per l'elaborazione della "macchina di Turing", ossia del
modello teorico degli attuali computer, trovare i punti deboli di Enigma e fare
così in modo da decifrare i messaggi che il comando tedesco trasmetteva ai
sommergibili che incrociavano nell'Atlantico.
E' quindi il crescente valore
strategico dell'informazione che spinge i paesi ad adottare sistemi di cifratura
sempre più perfetti: mentre gli uffici cifra di tutto il mondo, in un duello
senza fine, si sforzano di decifrarli e tradurli in "chiaro". Ma il problema
della segretezza delle informazioni non è soltanto militare, investe ormai tutta
la società civile: quando - tra breve - ogni informazione su ogni cittadino sarà
racchiusa in un minuscolo chip (dai conti in banca ai dati sulla salute, sui
vincoli familiari e così via), il problema sarà di come rendere impossibile a
chiunque - tranne che alle pubbliche amministrazioni, e solo parzialmente -
l'accesso a quel pacchetto di informazioni.
4.
Ma, almeno in linea di principio, può esistere un sistema di
crittografia "sicuro", che nessuno possa violare? Ancora una volta è la natura a
darci una risposta: molti fisici quantistici ritengono che un sistema di
crittografia quantistica, che sfrutti cioè le caratteristiche di
indeterminazione degli enti subatomici e la cosiddetta sovrapposizione di stati,
possa costituire un sistema praticamente inviolabile3. Sfruttando cioè
gli stati di polarizzazione degli spin delle particelle subatomiche, e in
particolare dei fotoni, si potrebbero in futuro mandare messaggi che, se anche
intercettati, sarebbe impossibile decifrare se non si è a conoscenza degli stati
iniziali del sistema e delle chiavi che a una serie di cifre binaria (gli 0 e 1
del computer) sono stati attribuiti sia da colui che invia il messaggio sia dal
ricevente.
Del resto, il primo crittografo è proprio Madre Natura. Esiste una
sorta di crittografia biologica, che consente il dialogo e lo scambio di
informazioni tra cellule, molecole biologicamente attive e proteine, che la
biologia molecolare sta oggi attivamente esplorando. Ne ha fatto abbondantemente
uso, ad esempio, il nostro Dna, per codificare tutte le informazioni relative
alla costruzione di un organismo e trasmetterle al suo decrittatore, la molecola
di Rna (acido ribonucleico) che dovrà tradurle in amminoacidi da assemblare per
dar vita a una nuova proteina. La vita si fonda quindi non solo sullo scambio di
informazioni, ma anche sulla loro codificazione.
Note
1 S. Sing, Codici e segreti, Rizzoli, Milano, 1999, pagg 195 e segg.
2 S. Sing, op cit, pag 204.
3 Vedi gli articoli di O. Brugia e P. Greco, in questo stesso numero di Telèma.