Giuseppe O. Longo

Se l'essenza dell'uomo è digitale
il corpo diventa superfluo, scompare

Il cyborg prefigurava l'integrazione tra uomo e macchina: il corpo completato e invaso dalla tecnologia. Il concetto di "postumano" annuncia uno scenario molto più inquietante. Se l'identità dell'uomo, il suo vero Sé, è un flusso di informazioni che può essere codificato, allora il corpo è soltanto un contenitore che si può sostituire. Ci avviamo a diventare creature digitali, pure e disincarnate?

1. Uno scenario inquietante.
Che cos'è il postumano? Se l'homo technologicus è un simbionte di uomo e macchina, circondato, sorretto, completato e anche invaso dalla tecnologia, il postumano si staglia su uno sfondo ancora più inquietante: in questa estrema propaggine del postmoderno il corpo è divenuto superfluo, anzi è addirittura scomparso. O meglio: è diventato indifferente, è stato sostituito da un supporto arbitrario, che serve solo a contenere lo sciame di bit che ne descrivono la struttura, l'informazione. Nel postumano, insomma, ciò che conta non è la materia, l'hardware, bensì il software. Si postula che l'informazione contenuta nel mio corpo si possa estrarre e introdurre pari pari in un altro corpo, in una macchina, nella ferraglia e nel silicio di un robot. Se l'identità di un Sé consiste in una certa configurazione neuronale, in un insieme di forme d'onda, allora il corpo diventa una sede occasionale e trascurabile di quel Sé, che può essere trasferito in qualunque altro supporto. Il corpo cessa di essere ciò che è sempre stato: il segno distintivo ultimo dell'identità individuale.
Scenario bizzarro, aberrante, che poggia su una serie di considerazioni che cercherò di esporre per sommi capi. Nella prospettiva del postumano sembra attuarsi l'affrancamento da quell'ingombrante fardello che è il corpo: l'eliminazione di questo greve residuo di un'umanità primitiva e limitata è sempre stato il lucido sogno razionalistico della nostra civiltà. Con la sua riottosa propensione al peccato, con la sua imbarazzante capacità seduttiva, con la sua scandalosa attività copulatoria, con la sua miserabile caducità, il corpo si è sempre opposto all'aspirazione filosofica e scientifica di costruire un mondo puro, asettico, durevole, aspirazione che tocca il suo culmine nel Novecento con l'impresa dell'intelligenza artificiale (Ia) funzionalistica.

2. La rimozione del corpo e del genio.
La diffidenza nei confronti del corpo serpeggia in tutta la nostra tradizione da oltre duemila anni e, curiosamente, s'intreccia all'inquietudine che ci procura il genio, con la sua ingiustificabile e lussureggiante trasgressività, con i suoi fulminei cortocircuiti. Corpo e genio sono simboli e attori dell'insubordinazione, si oppongono dunque al continuo tentativo dell'uomo occidentale di impartire ordine e regola al mondo eccessivo e caotico nel quale viene a trovarsi. Con l'aiuto della razionalità, poi della computazione, oggi dell'algoritmica, l'uomo cerca infatti da sempre di ricostruire la realtà, sostituendo al mondo dato, troppo florido e rigoglioso, un mondo più controllato e meno violento, un mondo misurato e dominabile, che gli consenta di sopravvivere.
Corpo e genio, per vie diverse ma analoghe, compromettono quest'opera di regolazione e mettono in pericolo la sicurezza dell'uomo. Bisognava dunque difendersi da questa minaccia e creare gli antidoti opportuni: così al corpo fu contrapposta la mente e al genio l'intelligenza analitica, argomentativa e calcolante. Col tempo i due antidoti confluirono in un solo rassicurante rimedio in cui si fondevano calcolo e pensiero: l'attività della mente coincide con l'esecuzione di algoritmi, e questa convinzione sta alla base dell'Ia funzionalistica, che ignora il corpo ed esorcizza il genio. L'attuale primato del riduzionismo computazionale affonda le sue nodose radici nel pregiudizio, risalente alla tradizione greca, che per sapere o saper fare qualcosa sia necessario averne una teoria, cioè una descrizione esplicita, precisa, comunicabile, magari squadernata in regole e istruzioni. Le teorie (si pensi alla matematica e alla fisica) possiedono una tendenziale acontestualità e, forse di conseguenza, sembra che non si riesca a costruire una teoria di tutta la realtà, ma soltanto di pezzetti più o meno limitati del mondo, cioè di fenomeni o sistemi isolati dalla matrice del contesto. La natura acontestuale delle teorie si oppone alla natura contestuale del corpo: il corpo "pesca" incessantemente nell'ambiente e ogni sua attività acquista senso solo alla luce delle interazioni più o meno complicate che esso intrattiene col resto del mondo.

3. Informazione e supporto.
Un'altra tessera importante del mosaico concettuale che sostanzia il passaggio dall'umano al postumano, cioè dal corpo biologico al corpo codificato, venne collocata da Claude Shannon nel 1948. La sua teoria matematica dell'informazione nacque all'insegna di un paradosso: da una parte l'informazione è un'entità sistemica, che ha senso, valore e significato solo nell'ambito di un contesto; dall'altro la sua formalizzazione si ispirava a uno strumento acontestuale, rappresentato da una matematica che si era sviluppata in stretta interazione con la fisica riduzionistica. Qui tuttavia mi preme mettere in luce il rapporto tra informazione e supporto. L'informazione consiste in differenze: differenze (di colore, forma, grana, peso...) tra oggetti, tra il prima e il dopo (cioè tra lo stato anteriore e lo stato posteriore di un oggetto), tra le varie parti di uno stesso oggetto. La presenza dell'"oggetto" indica che l'informazione, per manifestarsi, per essere elaborata e trasmessa, ha bisogno di un supporto materiale. L'informazione non può essere ridotta al supporto, ma ne ha bisogno. Inoltre, almeno in prima approssimazione, l'informazione può essere estratta da un supporto e trasferita in un altro senza alcuna perdita o distorsione. L'informazione sarebbe dunque invariante rispetto all'operazione di codifica.

Ma questa invarianza, che è una conseguenza diretta della formalizzazione di Shannon, sussiste (e anche qui con certe limitazioni) solo in un caso particolare, molto semplice anche se importantissimo, che è il caso digitale, in particolare il caso binario, dove ciò che importa è distinguere un oggetto o segnale o messaggio dagli altri, e dove la forma specifica di ciascun segnale non ha alcuna importanza. La differenza tra "0" e "1" è codificabile senza residui nella differenza tra "nero" e "bianco", tra "aperto" e chiuso", tra "sole" e "pioggia" e così via. Il fatto che la forma di "1" sia diversa dalla forma di "nero" e di "sole" non ha alcuna importanza. In generale tuttavia l'informazione non è invariante rispetto alla codifica e il passaggio da un supporto a un altro non è senza conseguenze. Nel caso analogico, dove non basta distinguere un messaggio dall'altro, ma si deve riprodurre con buona approssimazione la loro forma, la codifica può distorcere l'informazione e comprometterla. Un concerto scritto per il violino non può essere eseguito col trombone senza gravi distorsioni. Non tutti i supporti si lasciano modulare allo stesso modo: ogni supporto oppone una resistenza specifica all'inserimento delle differenze che rappresentano l'informazione e questa resistenza rivela che informazione e supporto intrattengono una relazione molto intima. Come l'informazione condiziona il supporto, così il supporto condiziona l'informazione.

Da questa ineludibile interazione scaturisce la mia obiezione principale all'Ia funzionalistica, secondo la quale basta individuare e descrivere con precisione le funzioni della mente umana e poi trasferire questa descrizione dalla mente a un calcolatore perché questo si comporti come la mente. Sono invece convinto che le funzioni che possiamo osservare in un certo supporto siano legate profondamente e intimamente a quel supporto, e che non si possano trasferire altrove senza perdite, modifiche e distorsioni.
Anzi, il funzionalismo opera un passaggio intermedio ancora più sottile: le funzioni della mente sono assimilabili a certe operazioni logiche (che si svolgono fuori di ogni tempo e materialità) e queste operazioni logiche, che sono la vera essenza del mentale, possono essere proiettate su svariati supporti (cervello, computer...) in modo assolutamente isomorfo. Il funzionalismo ignora cioè la natura materiale non solo della macchina, ma anche della mente. Quando si afferma che il calcolatore funziona secondo i principi della logica, si commette un errore: il calcolatore non è una macchina logica, bensì una macchina materiale, dunque lavora per causa-effetto e tra causa ed effetto c'è sempre un ritardo temporale. Nella logica classica il tempo non esiste, mentre nel calcolatore esiste: ci sono i ritardi, e i ritardi si accumulano. La proiezione o mappatura della logica sul calcolatore è una mappatura imperfetta, tanto che se le operazioni per unità di tempo diventano troppe, ci sono degli effetti di saturazione e la macchina funziona male.

4. Intelligenza della mente e intelligenza del corpo.
Ho messo in luce quello che secondo me è il motivo sostanziale del fallimento dell'Ia funzionalistica: la pretesa invarianza dell'informazione (o della funzione) rispetto all'operazione di codifica, cioè di trasferimento da un supporto all'altro. Questa pretesa si basa su una visione acontestuale, che trascura i legami interattivi tra le varie parti del complesso sistema costituito dall'intelligenza presa come modello. L'intelligenza umana (e in genere animale) ha come supporto un cervello immerso in un corpo a sua volta inserito in un ambiente, si basa su una continua interazione comunicativa ed è radicata nell'evoluzione. Centrale, in questa prospettiva, è, di nuovo, il corpo (o meglio l'unità inscindibile di mente e corpo), perché la conoscenza si attua sempre nell'alveo neurosensoriale, psicofisico, motorio e mentale che accoglie ed elabora, a vari livelli di consapevolezza (o inconsapevolezza) e con vari gradi di rapidità, i dati della realtà per farne elementi della realtà costruita.
Cerchiamo di comprendere meglio la differenza tra le due intelligenze: da una parte quella disincarnata, angelica e imperturbata postulata dall'Ia funzionalistica, dall'altra quella incorporata, interattiva e sistemica dell'uomo.

Il sistema o macchinario conoscitivo individuale ha due modalità essenziali di funzionamento. La prima, più arcaica sotto il profilo sia della specie sia dell'individuo, è la conoscenza tacita, globale e immediata attuata dal corpo, nella sua struttura e nelle sue funzioni biologiche: è una conoscenza che, a certi livelli, appare guidata dal sistema affettivo ed emotivo. La seconda, più recente sotto il profilo evolutivo e posteriore nello sviluppo dell'individuo, è la conoscenza esplicita, attuata nelle forme della razionalità. La prima corrisponde a mappe antiche, che dall'evoluzione sono state portate a livello profondo e sono "cablate" nella biologia dell'individuo. Le mappe della seconda modalità sono invece superficiali, debbono essere richiamate con uno sforzo cosciente o costruite appositamente in caso di necessità e sono presenti solo a livello razionale. Più lunga è la storia evolutiva di una mappa, più profonda è la sua collocazione e più inconsapevole e immediato è il suo uso. Le mappe del primo tipo si potrebbero chiamare "naturali", quelle del secondo tipo "culturali".

Orbene, la rimozione del corpo operata dalla scienza occidentale si può anche interpretare, in fondo, come un lungo tentativo di trasferire o tradurre le conoscenze dalla prima alla seconda modalità, cioè dalla conoscenza fisico-biologica incarnata nel corpo e nel mondo a una razionalità disincarnata. Questo tentativo è rispecchiato dall'Ia funzionalista, che vorrebbe esprimere in forma algoritmica tutte le conoscenze e tutte le abilità, comprese quelle legate al corpo e al senso comune che ci guidano nell'agire quotidiano, e poi tradurle in programmi di calcolatore.
Ma fino a che punto è possibile questo trasferimento? Per quanto strenuo e volonteroso, il tentativo incappa nell'ostacolo tipico di ogni processo di traduzione, cioè l'incompletezza. Rimane pur sempre un residuo ostinato, una cicatrice insanabile che ricorda come la traduzione sia un'impresa impossibile, perché vorrebbe o dovrebbe essere un'applicazione totale del mondo su se stesso. Se poi ci si chiede come mai sotto il profilo cognitivo la mente sia stata sempre privilegiata rispetto al corpo, oltre le ragioni legate alla caducità e all'oltraggiosa mondanità di quest'ultimo ce n'è un'altra che vorrei mettere in luce: della conoscenza logico-razionale si ha consapevolezza e quindi, a differenza delle mappe profonde del corpo, essa si offre all'indagine e al tentativo di riproduzione. La conoscenza del corpo è troppo riposta, implicita, oscura: non si presta all'indagine se non appunto dopo una sua traduzione nelle forme smaglianti dell'altra.

5. La simulazione.
E' interessante notare come il fallimento dell'Ia funzionalistica abbia portato a due reazioni molto diverse, entrambe tuttavia imperniate sul corpo: da una parte alcuni si sono convinti che per simulare un'intelligenza che abbia caratteristiche non troppo lontane da quella umana si debba adottare una prospettiva sistemica, cioè si debba dotare il cervello artificiale di un corpo artificiale in interazione con l'ambiente e magari anche adottare un'impostazione di tipo evolutivo, che simuli quanto è accaduto nella storia della biologia. Altri non hanno accettato la sconfitta e hanno, all'opposto, radicalizzato il tentativo, codificando non solo la mente ma anche il corpo. E' questa la strada che conduce al postumano.
Per cercar di capire se e come si possa compiere la codifica del corpo è utile considerare la nozione di simulazione, pratica che per gli esseri umani costituisce uno strumento dotato di un notevole valore economico e di sopravvivenza, perché ci evita i rischi e gli sprechi legati all'attuazione pratica. Prima di intraprendere un'azione concreta, di solito la simuliamo servendoci della nostra mente, o di altri strumenti che della mente costituiscono un potenziamento o un prolungamento. Possiamo così analizzare i possibili effetti dell'azione e decidere se compierla, se correggerla o se rinunciarvi.

Il mondo dell'informazione è caratterizzato da codici arbitrari: una cosa può, per convenzione, significare qualsiasi altra cosa; ma la simulazione va al di là di questa codifica arbitraria e convenzionale, poiché si fonda su una somiglianza, almeno parziale, e istituisce tra le due "cose", quella simulata, diciamo il fenomeno, e quella simulante, diciamo il modello, una corrispondenza molto stretta almeno a qualche livello di descrizione. Se la corrispondenza si verifica a tutti i livelli (nei limiti della precisione adottata), non si parla più di simulazione, bensì di "riproduzione". Ad esempio, nel caso di un cervello umano e di un calcolatore elettronico che effettuino un'operazione aritmetica, il quasi isomorfismo si ha a livello dei passaggi aritmetici, ma non a livello strutturale né a livello funzionale fine, poiché a questi livelli non si ha corrispondenza tra neuroni e loro attività e circuiti e loro attività.

Per giudicare l'adeguatezza di una simulazione non ci si basa dunque su una corrispondenza totale, bensì su una corrispondenza parziale di esiti e di effetti osservabili, adottando una prospettiva che è tipica del comportamentismo. Con riferimento all'Ia, il famoso criterio proposto da Turing nel 1956 per dichiarare intelligente una macchina si basa appunto su una simulazione di natura comportamentistica. Mediante telescrivente, un esaminatore pone domande a una persona e a una macchina e, ancora tramite telescrivente, ne riceve le risposte. Entrambi gli esaminati si sforzano di persuadere l'esaminatore di essere umani e, sulla sola base delle risposte ricevute, l'esaminatore deve stabilire chi dei due è davvero l'uomo. La macchina deve compiere in questo caso una simulazione più complessa e difficile di quella relativa all'esecuzione di un'operazione aritmetica.
La simulazione appartiene al mondo dell'informazione e non della materia, e la parzialità della corrispondenza che essa istituisce è legata alla riduzione dell'informazione che si attua nel passaggio dal fenomeno al modello. I risultati di questo passaggio delicato e indispensabile dipendono molto dal fenomeno. Consideriamo due esempi: le simulazioni al calcolatore di un matematico e di una mucca. Mentre la mucca simulata non può essere munta e il "latte" che se ne ricava non può essere bevuto, perché è un latte simulato, nel caso del matematico simulato le dimostrazioni simulate che egli produce sono in tutto e per tutto equivalenti alle dimostrazioni eseguite da un matematico vero.

Che differenza c'è allora tra latte e dimostrazioni? Si potrebbe dire che le dimostrazioni appartengono (quasi) per intero al mondo informazionale, mentre il latte appartiene (quasi) per intero al mondo fisico e non è possibile simulare con l'informazione gli oggetti fisici. Questa impossibilità risulta più evidente se si adotta un criterio di distinzione basato sugli effetti che le cose e le loro simulazioni hanno sul mondo reale (il nostro mondo): nel caso del latte gli effetti sono molto diversi, mentre nel caso della dimostrazione gli effetti sono identici. Tenendo presente la distinzione tra informazione e supporto, possiamo anche dire che per il latte il supporto (cioè gli atomi e le molecole che lo compongono) è essenziale: non si può modificare l'identità degli atomi e delle molecole, poiché la configurazione, le relazioni reciproche e i legami chimici, che ne costituiscono la parte strutturale o informazionale, non sono sufficienti a darci il latte. Se gli atomi di carbonio vengono sostituiti da atomi di silicio, pur conservando tutte le relazioni tra gli atomi, non si ottiene più il latte. Per quanto riguarda la dimostrazione, invece, il supporto, benché indispensabile, è inessenziale: quello che conta sono le relazioni e le differenze, cioè le informazioni, che possono essere riprodotte anche nel calcolatore. A proposito del problema fondamentale dell'Ia, cioè se la mente sia simulabile e trasferibile, possiamo arrischiare questa risposta: se la mente sta tutta nel mondo informazionale, come afferma il funzionalismo, una sua simulazione almeno a qualche livello significativo è possibile; se sta anche nel mondo fisico, come io ritengo, la cosa è più ardua, poiché anche la materia di cui è fatto il supporto della mente è rilevante.

6. La strada verso il postumano.
Torniamo ora alla prospettiva del postumano, cioè all'idea di codificare il corpo e non solo la mente. Come ha mostrato la storia, già il tentativo di codificare la mente per trasferirla dal supporto originario in un altro comporta semplificazioni e distorsioni essenziali che rendono il risultato molto discutibile. Eppure molte attività della mente sono formali, appartengono cioè al mondo dell'informazione: sono più vicine alle dimostrazioni che al latte, ed è su questo che si è basata l'Ia funzionalistica. Ma il corpo, per la sua natura fisica e biologica, è più vicino alla mucca che alle dimostrazioni, perciò quando se ne estrae l'informazione per incarnarla in un altro supporto, molte delle caratteristiche originarie (molti degli effetti sul mondo) vanno perdute. Queste caratteristiche potrebbero comprendere la possibilità di nuotare, di mangiare, di far l'amore... e tutto sta a vedere se vogliamo considerarle essenziali oppure no per la definizione di corpo, o meglio per considerare il nuovo supporto un sostituto accettabile del corpo.

Per alcuni il corpo codificato e poi reincarnato sarebbe solo un simulacro di corpo, che non ne conterrebbe tutta l'essenza. Insomma, se volessimo dissolvere il corpo trasformandolo in uno sciame di bit in attesa di nuova destinazione non potremmo farlo fino in fondo: non potremmo travasare nel software tutta la resistenza e la durezza e la ricchezza della materia e quindi la reincarnazione sarebbe incompleta. Il corpo continuerebbe dunque a essere l'orizzonte assoluto della nostra esistenza, l'ultimo ostacolo all'immersione totale nella virtualità. Il corpo reale non si potrebbe ridurre a un fantasma etereo, imponderabile, angelico o demoniaco, da creare e manipolare per via artificiale. Nella costruzione del simulacro la mediazione filtrante del codice sarebbe cruciale e questa mediazione sottrarrebbe al corpo la sua caratteristica più importante, quella di essere immerso in un contesto e in una storia in cui la materialità è fondamentale. Insomma, come l'informazione è irriducibile alla materia, anche la materia non si può ridurre del tutto all'informazione.
Supponiamo comunque di accettare la prospettiva postumana. Che ne è allora dell'identità e del Sé, che non sono più legati al corpo e alla sua immersione contestuale, bensì all'informazione trasferibile, in una prospettiva analoga a quella dell'Ia funzionalistica? Non si tratta di una questione troppo peregrina, perché già quel processo di decodifica (parziale) dell'essere umano che è la mappatura del genoma ci pone di fronte alla domanda "chi siamo?" in termini radicali. Se (il codice di) un essere umano può essere compresso e stare tutto su un libro o su un disco, che ne è della sua coscienza, intelligenza, sensibilità? Che cosa diventa l'"io" di fronte a questo riduzionismo informazionale?

La mappatura del genoma ci pone in una situazione in cui oggetto e soggetto si confondono con sfumature bizzarre e forse crudeli: come colui che in piena consapevolezza sta precipitando in un burrone, potrei sapere in anticipo che sto per cadere preda di una malattia grave, senza poter fare nulla per evitarla. E più sottilmente: potrei ricavare un quadro oggettivo e completo delle mie capacità fisiche e intellettuali, gettando in qualche misura un'occhiata al mio futuro, ma come emergerei ai miei occhi? Come ne sarebbe modificata la mia esperienza del Sé? Non si può eludere la domanda dicendo che conoscere il genoma mi consente di modificare in meglio le mie caratteristiche, perché il problema è un altro: se l'oggettivazione del Sé è completa, chi è l'"Io" che interviene sul "proprio" codice genetico per modificarlo? L'intervento non fa già parte dell'oggettivazione totale del soggetto, in un vertiginoso circolo autoreferenziale? Inoltre, se la decodifica fosse completa non solo metterebbe in correlazione biunivoca l'attività neuronale con l'esperienza soggettiva, ma potrebbe consentirci di trascurare del tutto quest'ultima: lo sperimentatore fornirebbe un impulso al mio cervello e saprebbe dallo schermo che cosa stia provando senza neppure domandarmelo. Anche le mie decisioni sarebbero prese in un regime di libertà vigilata: osservando l'attività biochimica del mio cervello, lo sperimentatore saprebbe con un piccolo anticipo che sto per decidere o pensare la tal cosa. La mia coscienza (ma avrebbe ancora senso parlare di coscienza?) arriverebbe sempre un po' in ritardo e registrerebbe come libera scelta uno stato "oggettivo" anteriore.

Riprendiamo il problema del Sé nella prospettiva postumana. Se tutto il Sé può essere codificato e passare da un supporto all'altro, se un essere umano può identificarsi col suo software o codice senza nessun collegamento necessario con il suo hardware di partenza, non c'è più identificazione tra il Sé e un corpo particolare. Il cordone ombelicale sarà tagliato e ciascuno potrà assumere liberamente uno o più corpi, nei quali replicare esattamente il codice che gli corrisponde. Si apre qui un vertiginoso problema filosofico: se l'informazione che costituisce il mio Sé viene trasferita su un supporto diverso, dove sto "io"? Non mi identifico con il supporto materiale d'origine e neppure con quello d'arrivo, che sono entrambi del tutto occasionali, ma non mi identifico neppure con il codice, che può essere riprodotto a volontà con tutta la precisione che voglio. Allora, in questa prospettiva di corpo-mente codificato e disincarnabile a piacere, dove si colloca il Sé? Dove sta la mia coscienza?
Speculiamo ancora: se un giorno, in una sorta di mondo dell'informazione radicale non fosse nemmeno più necessaria la materia, e gli esseri umani diventassero le creature angeliche e incorporee di tanti miti e leggende? Creature di luce, anzi d'informazione? Dando ragione a quanti ritengono che l'uomo attuale non è altro che uno stadio preliminare dell'Uomo vero che verrà?

Ma prima, a quanto pare, dovremo affrontare i problemi sollevati dalla mappatura genomica, che forse ci sta proprio incamminando verso quel mondo postumano: da una parte la mappatura pretende di dirci chi è davvero ciascuno di noi (spunta ancora una volta un riduzionismo di tipo informazionale) fornendoci il codice della vita secondo una visione deterministica, molto discutibile ma da molti accettata; dall'altra la possibilità di modificare il software, di riprogrammare il genoma con tecniche finalistiche (anche queste molto discutibili perché acontestuali) prelude a un profondo mutamento etico e cognitivo. Sarà la fine del creazionismo teleologico (in fondo uomo e scimpanzè hanno quasi lo stesso patrimonio genetico...); sarà la fine della riproduzione sessuale e quindi di una fonte importante di diversità genetica (la clonazione renderebbe superfluo l'accoppiamento, con disappunto di molti); sarà la fine di molte dispute filosofiche e psicologiche (sul libero arbitrio, sulla coscienza, sull'inconscio). Potrebbe essere la fine del corpo: una volta trovato il genoma perfetto, che cosa ci guadagneremmo a incarnarlo in un corpo? Che cosa ci guadagna il bibliomane dalla lettura effettiva dei suoi libri?
Andiamo davvero verso il postumano? E ci piace?


Riferimenti bibliografici

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