In una sorta di domestica divina commedia, Marcello Veneziani illustra le tre facce che intravede nel computer. Quella infernale che inghiotte e fa sparire il suo lavoro; quella di presuntuoso antagonista, che purga saccentemente il testo senza neppure conoscere ciò di cui tratta; infine la faccia, paradisiaca, che conserva il passato, libera dal fax e ci rende ubiqui.
Il mio menage con il computer è una versione domestica della divina commedia: per me il pc è inferno, purgatorio e paradiso. Provo a illustrarvi in tre cantiche il senso della mia affermazione.
Il computer è Caron dimonio.
Traghettatore d'anime dannate, con
occhi di bragia, il computer venne per
menarmi all'altra riva, come scrive
Dante. Il passaggio avvenne il Capodanno del 1980 e coincise con il giorno della
mia prima assunzione come giornalista praticante. Non era mio il Mezzo Infernale
ma del giornale, e i primi anni avevo l'alibi di usarlo sotto costrizione. Ma
poi decisi d'acquistarlo e di tenere la bestia in casa, a signoreggiare sulla
mia scrivania; allora vendetti l'anima al diavolo e abbandonai la mia antica
Lettera 22, cinguettante reperto dell'età del ferro. Fu angoscioso per me non
vedere i miei pensieri su carta; mi parvero più labili e meno personali. Per
farmi perdonare di questo peccato, il primo libro che scrissi al computer fu un
saggio di tono antimoderno, che s'intitolava Processo all'Occidente e che
si gloriava di una prefazione scritta a mano di un filosofo tradizionalista,
Augusto Del Noce. Ma quel libro mi portò a un passo dalla rottura con il
computer: già da tempo vivevo l'angoscia dei miei scritti ingoiati dal computer
e mai più restituiti; un black out, una mia ingenuità, un suo inghippo. Vivevo
in ansia fino a che la stampante non mi restituiva il testo su carta. Solo
allora il testo e io, come scrive Dante, uscivamo dall'inferno «a riveder le
stelle». Ma di quel libro, quasi per vendetta, il computer ingoiò un capitolo
intero, quello che più infieriva contro il dominio della Tecnica. Fu uno dei
dolori più grandi della mia vita; pensai davvero che fossero all'opera spiriti
maligni e rivalutai i tipografi di Cassino, prima derisi, che in una situazione
analoga avevano chiamato l'esorcista per liberare le macchine dal male. Faceva
impressione vedere macchine sofisticate che si fregiavano di un corno
antimalocchio. Ma quando persi quel capitolo ebbi una regressione animalesca.
Tuttora, quando perdo un mezzo articolo nel computer, divento una bestia con la
coda e la lingua biforcuta. Insomma un mezzo così sofisticato genera in me un
rigurgito così primitivo. A riprova della sua natura satanica.
Il computer è il mio purgatorio.
Qui m'addentro «nel secondo
regno, là dove l'umano spirito si purga». Il pc è il mio inseparabile compagno
di lavoro ma anche il mio irriducibile antagonista. Lavoro a gomito con lui,
ogni giorno, dipendo da lui, ma è un cretino presuntuoso. E mi spiego. Il
suddetto Imbecille pretende di purgare, di correggere i miei testi e spesso lo
fa d'autorità, senza il mio permesso. Magari correggesse solo i refusi e gli
errori grammaticali. No, quelli gli sfuggono; ma si beve il cervello quando si
imbatte in parole che non sa. Per esempio se cito in latino in interiore
homine, il Cretino Presuntuoso (PC al contrario) mi corregge in interiore
nomine, perché a lui homine con l'acca non risulta, mentre le nomine
sì. Perché l'ignorante ha studiato l'americano e l'italiano aziendale, il latino
non l'ha mai studiato e perciò pretende di purgare anche Sant'Agostino. Se
scrivo Perugia me lo corregge in Perugina; la cioccolata la conosce, la storia e
la geografia no. Se scrivo Gobetti lui lo purga in Godetti, storpiando non solo
il cognome ma anche il rigorismo ascetico dell'intellettuale. Pasolini me lo
corregge in Pisolini, trasformando un insonne passionario in un addormentato
apatico. Se scrivo Bassolino, lo purga in Sassolino, Scalfari diventa Scalari.
Non so perché, Prezzolini per lui esiste solo al singolare, Prezzolino;
d'accordo, era un individualista, ma perché correggergli il cognome? Questo
intromettersi nell'onomastica la trovo una demenziale violazione dei diritti
umani. In compenso rispetta la par condicio, se scrivo Berlusconi o D'Alema lui
me li segna entrambi come errori. Ma ogni neologismo, ogni parola straniera,
ogni verso poetico o licenza d'autore, ogni calembour, lui non lo capisce e me
lo segna come errore. O peggio, lo purga, a dimostrazione della sua
enciclopedica ignoranza. Corregge pure Dante. E allora ti accorgi che il
computer è stato pensato per gloria sua e non in servizio degli umani; anzi
più si perfeziona e più prescinde dagli utenti, diventa autoreferenziale.
Insomma, un'anima del purgatorio.
Il computer è un angelo.
Dulcis in fundo, devo riconoscere
che il computer apre la porta al paradiso degli scrittori. La videoscrittura è
la grafìa degli dèi, o degli arcangeli, dei cherubini e dei serafini. Perché
consente di modificare, levigare, tornire i testi con massima efficacia e
leggerezza, assorbendo le correzioni con grazia; la chirurgia estetica e
cerebrale riesce alla perfezione. E poi c'è la sua memoria, che forse
indebolisce la nostra (come pensava già Platone a proposito della scrittura), ma
che archivia, conserva, tesaurizza il passato e lo raccoglie in una piccola
urna. E poi la magnificenza di Internet e gli articoli inviati con e-mail: un
miracolo che ancora mi commuove. Ci libera dal male, dal fax, dalla visita in
redazione, dalla prigionia in sede; ci permette di scrivere da luoghi remoti, di
essere asceti e presenti, o all'opposto gaudenti e scriventi, di godere come i
santi della bilocazione se non dell'ubiquità e di inviare sulle ali della posta
elettronica libri interi. Per questo il computer è un angelo, anche in senso
etimologico: è messaggero. Per chiudere con Dante in paradiso, «Ma non eran da
ciò le proprie penne/ se non che la mia mente fu percossa/ da un folgore in che
sua voglia venne». Deo gratias, computer.